L'antica Chiesa di Efeso

EFESO (p.238) | ETERIA Associazione Culturale

FONTI STORICHE: 

FESTA PATRONALE DI ARTEMIDE

In occasione della festa patronale di Artemide la processione si snodava per sette stadi, dalla città al tempio. Tutte le ragazze del paese dovevano sfilare in splendidi abbigliamenti, e così pure i giovani coetanei del sedicenne Abrocomo, che era già tra gli efebi e incedeva nel corteo in prima fila. Era accorsa allo spettacolo una folla numerosa dalla città e dagli altri paesi perché in tale festa si usava scegliere le fidanzate per i giovani e i fidanzati per le ragazze. Aprivano nell’ordine il corteo gli oggetti sacri, le torce, i vasi sacri e gli incensi. Venivano poi i cavalli, i cani, gli arnesi da caccia. La fila delle ragazze era aperta da Anteia, figlia degli efesini Megamedo ed Evippe. Meravigliosa la bellezza di Anteia, e di gran lunga superiore a quella di tutte le ragazze. La sua età raggiungeva i quattordici anni, il suo corpo era fiorente di bellezza, e il decoro dell’abbigliamento le conferiva più grazia. Capelli biondi, intrecciati solo in parte: per lo più sciolti e ondeggianti al soffio del vento. Occhi vividi, che lampeggiavano come quelli di una donna pudica. Vestiva una tunica di porpora, che le giungeva fino ai ginocchi e le scendeva sulle braccia. Avvolta in una pelle di cerbiatto e con una faretra pendente sulle spalle, portava un arco e delle saette, mentre la seguivano alcuni cani. Diverse volte scorgendola nel recinto sacro, gli Efesini l’avevano adorata come se fosse Artemide. E in quell’occasione la folla uscì in esclamazione alla vista di lei, e voci diverse corsero tra gli spettatori. Alcuni per lo stupore dicevano che era la dea in persona, altri che era l’immagine perfetta della dea creata dalla dea stessa. Tutti poi le rivolgevano preghiere, le si prostravano dinanzi, e chiamavano beati i suoi genitori. Unanime tra gli spettatori era il grido di ammirazione per Anteia la bella.



(Senofonte di Efeso, Le efesiache, in Studi Biblici, a cura di M. Adinolfi, Brescia 1971, 112)

EFESO E IL SUO PORTO

La città di Efeso possiede arsenali ed un porto, se non che gli architetti, caduti in errore insieme col re da cui fu loro dato l’incarico, ne fecero troppo angusta la bocca. Questo re fu Attalo Filadelfo; il quale sebbene vedesse che il porto si empiva di banchi di sabbia per le alluvioni del Caistro, credendo che si potesse renderlo abbastanza profondo per ricevere grosse navi qualora si costruisse un molo dinanzi all’ingresso ch’era troppo ampio, ordinò che fosse costrutto; ma l’effetto fu poi contrario alla sua aspettazione. Perocché il terreno che il fiume seco strascina, trattenuto da quel molo, empì il porto di banchi fino alla sua bocca, mentre invece per lo addietro dal flusso e riflusso del mare soleva esserne bastevolmente portato fuori. Tale pertanto è il porto di Efeso. La città poi a motivo delle sue comodità in tutto il restante si viene di giorno in giorno aumentando, ed è diventata il maggior emporio delle produzioni dell’Asia e dei paesi al di qua del Tauro.
(Strabone di Amasea, La geografia, trad. di F. Ambrosoli, Milano 1834)


DETTI DEL FILOSOFO ERACLITO

A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove. Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento si disperde e si raccoglie, viene e va. Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo. Dopo la morte attendono gli uomini cose che essi non sperano e neppure immaginano. Difficile è la lotta contro il desiderio, poiché ciò che esso vuole lo compera a prezzo dell’anima.

(da G. Reale,  Storia della filosofia antica /1, Milano 1975, 73.82)

UNO SOLO È IL MAESTRO

Nulla di tutto questo resterà nascosto se possederete pienamente la fede e l’amore cristiano, che sono il principio e il fine della vita. Il principio è la fede, il fine è la carità. Quando queste due sono riunite in uno, esse sono Dio stesso; e tutto ciò che porta alla santità le accompagna. Chi ha una fede aperta non pecca, e chi ha raggiunto l’amore, non odia. L’albero si conosce dal suo frutto; così chi professa di appartenere a Cristo si riconosce dalle sue opere. Ma ora non si tratta di professare la fede, ma di perseverare in essa, con forza, sino alla fine. È meglio essere cristiano senza dirlo, che dirlo senza esserlo. È bello l’insegnamento, se chi parla pratica ciò che insegna. Uno solo è il maestro: egli disse e tutto fu fatto; ma anche ciò che egli compì nel silenzio, è degno del Padre. Chi possiede veramente la parola di Gesù può capire anche il suo silenzio, e giungere così alla perfezione: costui agirà come parla; ma anche nel silenzio, mostrerà chi è. Nulla è nascosto al Signore, anche i nostri segreti gli sono palesi; teniamo perciò presente che egli abita in noi e agiamo in modo tale da essere noi suoi templi, ed egli il Dio che in noi abita. Questa è una realtà; e un giorno la vedremo chiaramente. Come è giusto dunque che noi lo amiamo! Non vi illudete, fratelli miei! Chi tradisce la famiglia non erediterà il regno di Dio. Se dunque chi compie questo tradimento nella carne è punito con la morte, quanto più dovrà essere punito colui che, con una dottrina perversa, tradisce la fede cristiana, per la quale Cristo si lasciò crocifiggere? Chi agisce così è un sozzo che finirà nel fuoco eterno; e con lui anche chi lo ascolta. Il Signore accettò il profumo versato sul suo capo per infondere l’immortalità alla sua Chiesa. Non lasciatevi ungere dal fetido unguento, che è la dottrina del principe di questo mondo, che non vi faccia prigionieri e vi strappi alla vita, che è il vostro pegno. Perché non siamo tutti saggi, accettando solo la scienza di Dio che è Gesù Cristo? Perché corriamo pazzamente alla rovina, per non voler conoscere questo dono di verità che Dio ci ha mandato? Il mio spirito è una vittima della croce, la quale è scandalo per gli increduli, ma per noi salvezza e vita eterna. Dove è il saggio? Dove è il ricercatore? Dove è il vanto di chi si dice sapiente? Il nostro Dio Gesù Cristo, nato dal seme di David ma per opera dello Spirito Santo, fu portato da Maria nel suo seno, come Dio aveva stabilito; nacque, e poi si fece battezzare per rendere pura l’acqua con la sua passione.
(dalla Lettera di Ignazio di Antiochia agli efesini, in I Padri Apostolici, trad. di G. Corti, Roma 1966, 104-105)

LA DIVINA MATERNITÀ DI MARIA NELLA « FORMULA DI UNIONE »
TRA I VESCOVI INTERVENUTI AD EFESO (431)

Per quanto poi riguarda la Vergine madre di Dio, come noi la concepiamo e ne parliamo e il modo dell’Incarnazione dell’unigenito Figlio di Dio, ne faremo necessariamente una breve esposizione, non con l’intenzione di fare un’aggiunta, ma per assicurarvi, così come fin dall’inizio l’abbiamo appresa dalle Sacre Scritture e dai Santi Padri, non aggiungendo assolutamente nulla alla fede esposta da essi a Nicea. Come infatti abbiamo premesso, essa è sufficiente alla piena conoscenza della fede e a respingere ogni eresia. E parleremo non con la presunzione di comprendere ciò che è inaccessibile, ma riconoscendo la nostra insufficienza, e opponendoci a coloro che ci assalgono quando consideriamo le verità che sono al di sopra dell’uomo. Noi quindi confessiamo che il nostro Signore Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo, (composto) di anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla vergine Maria secondo l’umanità; che è consostanziale al Padre secondo la divinità, e consostanziale a noi secondo l’umanità, essendo avvenuta l’unione delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore. Conforme a questo concetto di unione inconfusa, noi confessiamo che la Vergine Santa è Madre di Dio, essendosi il Verbo di Dio incarnato e fatto uomo, e avendo unito a sé fin dallo stesso concepimento, il tempio assunto da essa. Quanto alle affermazioni evangeliche e apostoliche che riguardano il Signore, sappiamo che i teologi alcune le hanno considerate comuni, e cioè relative alla stessa, unica persona, altre le hanno distinte come appartenenti alle due nature; e cioè: quelle degne di Dio le hanno riferite alla divinità del Cristo, quelle più umili, alla sua umanità.
(da Decisioni dei concili ecumenici, a cura di G. Alberigo, UTET, Torino 1978, 147-148)

| Dalla guida di Oriano Granella - Luigi Padovese, Guida alla Turchia. I luoghi di san Paolo e delle origini cristiane, Paoline, Milano 2008, 238. |


Testo completo:
37 – EFESO (p238) | ETERIA Associazione Culturale
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